Elisabetta Franchi, un marchio che, nel giro di soli vent’anni, è diventato sinonimo di femminilità, qualità ed eccellenza. Com’è nato questo grande sogno? Hai sempre voluto essere una stilista?
[Ride] I giornalisti hanno la tendenza a dire “in soli vent’anni”, ma a me è sembrata una vita intera! Comunque, nonostante io sia nata in una famiglia modesta, in cinque e senza la presenza di una figura paterna, in casa mia abbiamo sempre vissuto secondo la legge del “chi fa da sé, fa per tre! Arrangiati!” e quindi non c’era molto tempo per sognare. Poi credo che ognuno di noi, a un certo punto della sua vita, capisce che tipo di sogno ha nel cassetto e, soprattutto, in quale campo è più talentuoso. E io nel cassetto avevo due sogni: quello di vestire le donne nel mondo, tant’è che ho iniziato con una bambola…e a sette anni ho iniziato a vestire questa bambola, bruttina!, col filo dell’arrosto, con le foglie, con un pezzo di uno strofinaccio…e quindi la vocazione era quella, e poi avevo anche il sogno di fare la cantante. È ovvio, poi, che, col passare degli anni ho capito che, se il mio sogno fosse andato più verso la parte musicale e non invece verso quella del “vestire le donne”, oggi sicuramente non sarei qui a fare un’intervista perché sarei davvero stata un flop! Sono stonata, non sono davvero nelle condizioni! E infatti io ai giovani dico sempre:“Non guardate solo al sogno perché, se poi non siete in grado di farlo, è inutile! Cercate, invece, di capire dove pulsa il cuore, ma soprattutto dove, assieme al cuore, c’è anche il talento! In cosa siete davvero bravi?”
Perché solo così potrete dare il massimo. Io ho sempre avuto una visione chiara!
E il doverti fare da te, senza il supporto economico della famiglia alle spalle, lo consideri un valore aggiunto oggi?
Partendo dal presupposto che il talento ce l’hai a prescindere dalla tua condizione economica: puoi essere povero, puoi essere ricco…e diciamo che io non sono solo una talentuosa e un direttore creativo, io sono anche un’imprenditrice. E il messaggio che oggi cerco di trasmettere a chi mi conosce è, sì!, quello della grande stilista che veste le donne in modo sensuale e molto femminile, con un target quindi molto chiaro, ma è anche quello della donna con la “D” maiuscola: con le palle, che ce l’ha fatta da sola, che è diventata imprenditore e che ha costruito una famiglia.
Il DNA di Elisabetta Franchi è abiti da principessa, ma all’interno di quell’abito ci sono anche tutte le mie battaglie. Quindi spero che, chiunque parta da dove sono partita io, abbia la mia stessa fame! La fame fa la differenza!
Come nasce un abito Elisabetta Franchi? Da dove prendi l’ispirazione per le tue creazioni e le tue collezioni?
Spesso, quando parli coi creativi, ti viene detto che l’ispirazione viene dai viaggi, da luoghi fantastici, dall’arte o dall’architettura. Ma io ho una mente talmente complessa e veloce che, anche solo facendo quel minimo di ricerca, mi incasino completamente. Quando io creo me ne devo stare da sola in ufficio, mi ci chiudo dentro per una settimana…ed entro in un altro mondo. Non sono più l’imprenditore o la mamma o la moglie…non sono niente! Sono, in quel momento, una donna che pensa di indossare tutto ciò che disegna. Deve piacermi, devo immedesimarmi.
Mi sono inserita in un target molto chiaro, in un segmento così specifico che ancora non esiste un nome per descriverlo, e con un prodotto e una visione altrettanto precisa e chiara.
Io vesto una donna che non si nasconde in mezzo alle altre donne, io amo la sensualità delle donne. E se una cosa non mi piace, anche se commercialmente funziona, io semplicemente non la faccio. Non sono mai scesa a compromessi: quella è la donna che voglio vedere nel mondo. E a volte ho rinunciato a mercati importanti proprio per dar voce alla mia visione.
Prima ancora di essere una grande stilista, sei anche una grande donna. Che donna è Elisabetta Franchi?
Elisabetta Franchi è una donna che è nata sicuramente dal niente e che si è creata, investendo su se stessa e con pochi soldi. E oggi è arrivata, si è presa e conquistata uno spazio in questo mondo senza aver paura della fatica, con costanza, determinazione e con passione.
A volte non amo la parte luccicante del mio lavoro perché a volte si confonde il mondo della moda con il red carpet, con un universo in cui tutto è bello.
Il tuo essere donna ti ha in qualche modo aiutata od ostacolata?
Mi hanno spesso fatto notare che sono una delle poche donne a disegnare e vestire, poi, le donne. Se ci pensi, i brand, quelli famosissimi nati negli anni ’70 e ’80, sono gestiti per lo più da uomini. E l’essere donna, in alcuni ambiti, mi ha aiutata ma in altri assolutamente no. Io sono rimasta vedova nel 2008 e, quest’azienda, l’avevo creata con mio marito, ed eravamo noi. Non esisteva la parola “io”, eravamo “noi”. E ci eravamo divisi i compiti: a uno tutta la parte amministrativa, burocratica, quella pallosa e all’altra la parte creativa. E alla fine della giornata i conti dovevano sempre tornare e ognuno faceva il suo. Quando il “noi” si è trasformato in “io” è stata davvero dura.
Essere donna non è stato sempre facile: sono comunque una donna di 51 anni, in un bel corpicino e non mi sono mai vestita da uomo, specialmente nei salotti degli uomini. Mi sono sempre presentata con estrema femminilità e sensualità, mai con la volgarità…ma comunque all’inizio mi guardavano e si chiedevano “Ma questa dov’è che pensa di andare?!”.
Il punto, però, è che ho due palle…
Con la tua costanza e questa forza, e chiaramente col successo che ne è conseguito, hai fatto tanto anche per tutte le donne del futuro…
Forbes mi ha a cuore e l’anno scorso mi ha inserito fra i 100 imprenditori più influenti del 2019, in mezzo a una lista infinita di uomini. Nel 2020, invece, mi ha messo fra le 10 donne che più si sono distinte quindi credo che ci sia tutta una nuova sensibilità e solidarietà che sta venendo fuori.
Fra le altre cose, e ne sono immensamente fiera e orgogliosa, sono stata insignita del titolo di Cavaliere all’Ordine al Merito della Repubblica Italiana, un’alta onorificenza che di solito viene conferito solo ai vecchi e agli uomini. E mi onora: essere cavaliere al merito davvero mi rende orgogliosa.
Elisabetta Franchi è anche sinonimo di sostenibilità. Ti sei sempre battuta a favore di un mondo green ed ecosostenibile e la tua azienda è perfetto specchio di questi valori e di queste battaglie.
Io sono nata in campagna e amo la montagna e la natura. Ai miei figli sto insegnando che possono benissimo fare a meno della plastica e così anche in azienda, anche se è stata inizialmente dura. Da tre anni organizzo solo vacanze che siano ecosostenibili. Bisogna assolutamente rispettare la natura perché, un giorno, la natura e il mondo ti saranno riconoscenti, e sennò finiremo per vivere davvero in un brutto mondo.
Da amante degli animali, sono anni che collabori con LAV e che partecipi ai programmi Fur Free. Come sta andando?
Nel 2015 ho aperto la dog hospitality e così ogni mio collaboratore può venire a lavorare anche col suo cane. E per me sta funzionando: i miei collaboratori lavorano di più, i cani sono educatissimi e questo è davvero un messaggio importantissimo. È chiaro che poi è necessario avere un giardino, così, nel tempo dell’intervallo, è possibile portarli fuori, ma tutto sta procedendo in modo molto sereno.
Tre anni fa ho dato vita a una fondazione, ho aperto un canile in Cina per poter salvare questi animali anche lì, collaboro con la LAV. Siamo stati la seconda azienda a essere animal free e partecipo ai programmi Fur Free. Anche prima, all’inizio, non sceglievo volpi e visoni per i colli, non l’ho mai fatto. Però, ingenuamente, facevo i piumini con la piuma d’oca, cosa che adesso mi è inconcepibile. Vestire indossando un animale morto non fa parte di me, della mia azienda. All’epoca, quando ho preso queste decisioni, ero la prima in Italia e la seconda sul piano internazionale. Oggi, a distanza di pochi anni, l’unico brand, fra i grandi, che utilizza ancora le pellicce è Fendi, tutti gli altri sono animal free. È un bel passo, eh!
Giorgio Armani, in una recente intervista, si è schierato a favore di una distensione dei tempi nel mondo della moda. Un mondo, a detta sua, frenetico e veloce che accelera i processi creativi e che mina il potenziale inventivo dello stilista. Cosa ne pensi?
Penso che ha ragione! Quando un’azienda di moda si ritrova a fare cinque collezioni in sei mesi viene immessa una quantità esagerata di prodotti sul mercato, a discapito della bellezza e dell’unicità propria di una collezione di alta moda. Armani ha anche detto, in un’altra intervista, che il nostro grande errore è stato quello di voler far la guerra all’industria di fast fashion. Quando sono nate queste aziende, i brand d’alta moda sono corsi ai ripari e hanno iniziato a creare anche le seconde linee e via dicendo. E i tempi ora sono frenetici, anche per me che non faccio la couture: cinque collezioni in una stagione sono impegnative! E, soprattutto, non è bello che una mia cliente entri in un mio negozio a giugno e ci trovi dentro già l’invernale e che il resto sembri già vecchio. Così si perde l’esclusività.
E quali sono i tuoi pensieri riguardo la fast fashion?
Io sono nata fast fashion. E sono nata fast fashion perché mi ero accorta che nel mondo della moda di lusso c’era una grande voragine. Ad esempio, capitava che si entrasse in un negozio ad aprile o a maggio, si chiedesse la maglietta vista, per dire, su un giornale e i commessi ti rispondevano che non c’era più. Ad aprile, non c’era più. C’era, insomma, una richiesta enorme di alcuni prodotti che però non veniva coperta. Ed è così che, in quel buco, si sono inserite le aziende di fast fashion e questo perché i grandi brand proprio non riuscivano a coprire questa voragine. La preparazione di una collezione nuova, pensata di anno in anno, non permetteva a questi brand di sopperire alla cosa. Era il contrario di oggi: tanta richiesta e pochi prodotti sul mercato. È stato l’inizio di un mondo malato…ed è così anche ora.
Com’è stato raccontarsi all’interno del documentario “Essere Elisabetta”?
La proposta mi è arrivata da Real Time con un budget, fra le altre cose, non proprio importantissimo. Ed era anche la prima volta che mi mettevo in gioco davanti a delle telecamere. Anche se avevo già iniziato a fare alcune cose, non avevo mai avuto un cameraman che mi seguisse quasi 24 ore al giorno e quindi è stata un’esperienza! È stato bello, e quel documentario mi ha commosso molto. Sono stati anche molto bravi e io, invece, ero terrorizzata perché, dopo tante ore di girato - mi hanno seguito per circa cinque mesi -, non sapevo cosa ne sarebbe uscito dopo il montaggio. Invece anche l’autrice è stata davvero brava, ha capito davvero qual è il DNA di Elisabetta e chi sono e ha costruito il documentario esattamente per come sono io.
Ormai il tuo sogno si è avverato: sei una donna e una stilista di successo, con 85 boutique monomarca in giro per il mondo, e adesso?
Sul lavoro non sei mai arrivato, questo è un mondo in cui devi davvero metterci sempre tanta testa, cuore e passione…e anche tanto sacrificio, sempre! Anche perché, il giorno in cui non hai più voglia di dare tanto, la gente se ne accorge. Quando vedi un abito di Elisabetta Franchi, dietro ci vedi anche l’anima. E c’è, veramente! Ogni capo nasce sotto i miei occhi, dentro c’è tutto il mio cuore, tutta la mia passione e tutto il mio percorso.
Però sono felice di dire che, per ora, sono qua: a breve arriverà il mio libro, spero entro l’anno. E i sogni sono ancora tanti…anche se, infine, il mio sogno ora è quello di vivere con semplicità e di essere felice di quello che ho. Alla fine è quello che auguro a tutti: di trovare la propria serenità. E io ci sono riuscita: coi piedi ben ancorati per terra e tenendo fede alle mie radici e a chi sono.