Claudio Domenicali: il mondo Ducati fra passato, presente e futuro

Scritto il 01/02/2022
da Redazione Genius People Magazine


30 anni in Ducati. Quando sei entrato in azienda da giovane laureato c’era già l’ambizione di arrivare ai vertici di una grande azienda?

Onestamente no. Io sono entrato in azienda scegliendo fra due proposte di lavoro, una era di un’importante rivista italiana, perché io durante l’università mi dilettavo a fare prove delle moto e poi scrivere commenti e recensioni; l’altra della Ducati, dove avevo fatto la tesi di ingegneria. Durante questa esperienza avevo imparato tanto e costruito un rapporto personale molto bello con l’Ingegner Bordi. Devo essere onesto, scegliere non è stato facile. Il mondo del giornalismo mi avrebbe portato a girare il mondo e a fare la cosa che all’epoca mi piaceva più di tutte, cioè andare in giro in moto, quindi ero veramente molto tentato. Però qualcosa dentro di me mi spinse a scegliere Ducati, perché ero attratto dall’idea di poter fare le moto, non solo guidarle, mettendo a frutto la mia passione per la meccanica e gli studi di ingegneria. Allora non avevo ben chiaro quello che sarebbe potuto essere il percorso, le cose sono successe un po' alla volta, cambiando frequentemente lavoro sono riuscito a crescere e quindi sono riuscito poi ad arrivare al vertice dell’azienda, che adesso è circa 20 volte più grande che all’epoca.

Le moto e i motori però sono nella tua vita da prima dell’ingresso in Ducati. Quando e come è nata la passione per le due ruote?

La mia passione è iniziata molto prima. Già alle scuole medie mi piaceva moltissimo disegnare, ho ancora alcune tavole con i disegni che facevo di go-kart, camion, moto. Mi appassionavano proprio la meccanica e i veicoli. La moto è stata una scelta naturale perché è il primo veicolo che puoi utilizzare quando hai 14 anni. Da lì le cose poi si sono incastrate, mi piaceva molto andare in moto e anche montarla e smontarla, modificarla e capire il funzionamento di ogni componente. Questo è anche il motivo che mi ha spinto a non scegliere il Liceo Scientifico ma l’Istituto Tecnico, nel quale ho potuto sporcarmi le mani imparando tutto sulle macchine utensili, i materiali, la saldatura.

Si può dire che hai fatto della tua passione il tuo lavoro?

Certamente sì. È una grande fortuna e un forte elemento motivazionale, ma ha anche un lato critico. Quando si ha una passione che è diversa dal lavoro, una volta finito di lavorare ci si occupa della propria passione e in qualche modo il lavoro è più segmentato. Nel mio caso le due cose coincidono, e in più ci sono anche le corse di cui sono un grande tifoso. Praticamente sono continuamente immerso in questo mondo, quindi servono grande attenzione e disciplina per ritagliarsi degli spazi di stacco. Di questo me ne sono reso conto man mano che crescevo professionalmente, quando la pressione diventa più importante e le responsabilità più stringenti è molto importante dare al proprio corpo e alla propria mente dei momenti di stacco, altrimenti la stanchezza diventa pesante e non si è più in grado di fare il proprio mestiere.

E come si fa a staccare in questi casi?

Per me è molto importante coltivare le amicizie, magari con persone che non siano appassionate di moto! Ho molti amici con cui andiamo in montagna, al mare, andiamo in barca insieme e a sciare, che è un’altra mia grande passione. Io mi sono ritrovato molto nel discorso che l’ex CEO della Coca Cola, Bryan Dyson, ha fatto davanti agli studenti dell’Università della Georgia diversi anni fa. In quell’occasione ha fatto un paragone tra la vita di un top manager e quella di un giocoliere che deve tenere in equilibrio 5 sfere che rappresentano il lavoro, il corpo, lo spirito, la famiglia e le amicizie. Tutte queste sfere sono di vetro, tranne il lavoro che è di gomma. Se quella di gomma, ovvero il lavoro, dovesse caderti, puoi sempre riprenderla dopo il rimbalzo. Se invece a cadere fosse una delle altre sfere, anche una volta recuperata non sarà mai più la stessa. Credo che questo paragone spieghi bene come dare importanza alla vita privata sia fondamentale per mantenere l’equilibrio.

Cosa c’è in una moto che la rende diversa e speciale rispetto agli altri mezzi di trasporto?

Innanzitutto secondo me la moto non è solo un mezzo di trasporto, ma è un generatore di emozioni. Fare un viaggio in moto equivale a vivere un’esperienza plurisensoriale che coinvolge il corpo, la mente e lo spirito. Da un punto di vista fisico c’è un’armonia nel movimento tra mezzo e pilota che tra i veicoli terrestri è propria solo della moto, che si muove tridimensionalmente. Poi c’è l’immersione completa nello spazio in cui ci si trova, senza essere chiusi in un abitacolo. Si è completamente esposti agli elementi, nel bene e nel male, e questo fa sì che tutto sia nettamente più vivido ed intenso: gli odori, i colori, il calore sulla pelle o l’umido della pioggia, fa tutto parte dell’esperienza. E poi è anche un grande elemento di aggregazione. I motociclisti si salutano tra di loro, si organizzano per condividere le giornate in moto in cui si fanno le strade più belle per il puro piacere di farlo.

Ripercorriamo brevemente la tua carriera. Dall’entrata nel ’91 alla posizione di Amministratore Delegato di Ducati Corse nel ’99 cosa è accaduto nel mezzo? Quale momento ricordi come il più significativo di quegli anni?

Si, io dal ‘91 al ‘94 mi sono occupato di sviluppare il progetto di una piccola moto da corsa, si chiamava Supermono, che è una moto che poi è diventata particolarmente cult perché ne sono state prodotte solo 67 unità. Alla fine del progetto le cose sono andate bene e quindi nel ‘94, dopo 3 anni, mi hanno promosso facendomi diventare Direttore dell’Ufficio Tecnico di tutto il prodotto. C’è da dire che l’azienda era molto più piccola di oggi, quindi potrebbe sembrare un salto enorme ma in realtà all’epoca in Ducati c’erano solamente 3 ingeneri e io ero il quarto. Poi mano a mano abbiamo assunto più persone e oggi siamo centinaia di ingegneri in azienda. Da responsabile dell’Ufficio Tecnico ho supervisionato tanti progetti e di quegli anni sicuramente mi ricordo la collaborazione con Massimo Tamburini. Quello è stato il momento che mi ha influenzato di più e in cui ho sviluppato il mio amore per la bellezza, elemento fondamentale per la creazione del mito, che si sviluppa attraverso l’unione di design e tecnica.

Nel ’96 le cose continuavano ad andare bene e mi è stata assegnata la responsabilità del settore Corse, all’epoca si chiamava così perché non era un’azienda separata. Poi nel ’99, l’azienda nel frattempo aveva cambiato proprietà, si decise di dare ancora più importanza al mondo racing e creare un’azienda separata. Così nel ‘99 è nata Ducati Corse e mi viene proposto di gestire l’azienda a 360 gradi, sviluppando anche la parte commerciale e di marketing con l’intento di cercare partner e generare fondi per compensare i costi generati dall’attività sportiva. In quel momento quindi lascio la parte tecnica del prodotto di serie e mi concentro solo sulle corse. 

Ducati Corse oggi è parte integrata dell’azienda, ma non è sempre stato così. Cosa voleva dire essere alla guida della realtà che ha portato Ducati a sfidare e vincere contro i titani giapponesi? 

Pe me ha voluto dire una grande palestra perché era chiaro sin da subito che per sfidare i giapponesi dovevamo mettere in campo delle risorse economiche che Ducati non si sarebbe potuta permettere da sola. È stato importante sviluppare la parte di marketing per riuscire a condividere con dei partner quest’avventura e generare risorse aggiuntive che ci hanno permesso di avere a disposizione in poco tempo dei budget importanti. Ducati come dimensioni non era confrontabile con le realtà giapponesi ma il budget che abbiamo messo in gioco, grazie a tutto il lavoro fatto da Ducati Corse e dal marketing, è stato ben presto molto significativo. Io ho delegato all’Ing. Filippo Preziosi la parte tecnica di Ducati Corse e ho potuto dedicarmi con molto impegno alla relazione con i piloti e al finanziamento del team e delle sue attività. IL budget era fondamentale per sostenere la complessità dei compiti che dovevamo affrontare, primo dei quali l’ingresso in MotoGP. L’entrata nella classe regina è avvenuta nel 2003 ma è stata decisa nel 2000, immediatamente dopo la creazione di Ducati Corse praticamente. 

Poi a settembre 2004 si è aggiunto un incarico importante, quello di Direttore R&D Prodotto. Potremmo dire che le scelte strategiche fatte a partire da quel momento siano state determinanti perché Ducati diventasse quello che è oggi nel mondo?

Gli anni dal 2002 al 2004 sono particolarmente difficili per l’azienda, che cambia anche proprietà. Dopo un’attenta analisi si individua nel prodotto una delle cause della crisi: non era sufficientemente attraente per gli appassionati. Alcune delle moto prodotte in quegli anni in effetti non hanno avuto molto successo commerciale, un po’ per il design troppo mentale, un po’ perché in anticipo sui tempi rispetto a dove si trovava il mercato. A quel punto mi è stato chiesto di tornare a occuparmi anche di prodotto e l’AD di allora, Federico Minoli, vedeva in me la persona giusta. La prima cosa che con il nuovo team abbiamo fatto è stata creare il Centro Stile interno, che prima non esisteva. Poi abbiamo codificato le regole dello stile Ducati: superfici morbide, curve sinuose e affascinanti con segni decisi ma mai spigolosi. Poi c’è la ricerca maniacale per la leggerezza e per la performance, anche in frenata che deve essere di riferimento per tutta la categoria. Il tutto condito da una ricerca per la semplicità e l’autenticità, seguendo i principi di less is more e back to basics. È sulla base di questi principi che nascono la 1098, l’Hypermotard, la Desmosedici, la nuova Multistrada del 2010 e il Diavel. Tutte moto che hanno grande successo tra i Ducatisti. È proprio qua che ho fatto miei gli insegnamenti di Tamburini.

Nel 2013 Ducati entra a far parte del Gruppo Audi e tu vieni nominato Amministratore Delegato. Che occasione è per te confrontarsi con un Gruppo così grande e così potente del settore automotive?

La nomina ad Amministratore Delegato è stato il coronamento di un percorso. Onestamente non immaginavo sarei stato scelto io, non me l’aspettavo. Di solito l’azionista mette una persona di propria fiducia, invece Audi si è fidata e ha scelto una persona interna con una lunga storia in Ducati e ha voluto connotare l’italianità del brand mantenendo un italiano alla guida dell’azienda. Per me è stata una grande soddisfazione. Questo periodo di lavoro con Audi e Volkswagen è stato molto proficuo. Ho avuto la possibilità di apprendere come un gruppo di queste dimensioni si organizza per mantenere il più alto possibile lo sviluppo verso il futuro, quindi l’interrogarsi a 5/10 anni. Ho toccato con mano la passione per il prodotto che anche nelle aziende del Gruppo è molto forte, caratteristica che è stata determinante anche per l’affermazione di brand come Audi e Porsche. Ho potuto partecipare ad alcuni dei test in cui i manager più alti del Gruppo provano i prodotti in sviluppo. Questa verifica a intervalli regolari dà una grande spinta motivazionale alle squadre di sviluppo per riuscire a ottenere il miglior risultato possibile. Mi è piaciuta tanto questa pratica tanto che poi l’abbiamo messa in atto anche in Ducati. Infine, ho avuto la fortuna di conoscere e frequentare il Professor Piëch, che non solo era un grande appassionato di auto ma era soprattutto un appassionato di moto e Ducati. Dai nostri confronti sono nate alcune scelte molto interessanti, ad esempio lui era un grande sostenitore del motore V4.

In questi 30 anni di carriera avrai visto il settore moto evolversi continuamente per restare al passo coi tempi. Come ti immagini che cambierà nei prossimi anni?

I prossimi anni penso saranno molto interessanti perché abbiamo una serie di punti interrogativi da risolvere che non hanno caratterizzato i decenni precedenti. Fino a qualche anno fa la cosa sulla quale bisognava lavorare era chiara: si doveva fare una moto che fosse più leggera e con un design più moderno. Nel caso di una moto sportiva più prestazionale, nel caso di una moto turistica più comoda e tecnologica, seguendo l’evoluzione del mercato e delle tecnologie a disposizione. Oggi ci sono sul tavolo diversi punti aperti e non risolti, primo fra tutti quello della mobilità elettrica. Quando la tecnica e la chimica delle batterie renderanno possibile realizzare un veicolo con compromessi accettabili? Che cosa è giusto fare per le moto da città? Che cosa fare per le moto sportive? Noi abbiamo recentemente reso pubblica la nostra scelta di impegnarci a fondo nello sviluppo di prodotti elettrici tramite la produzione delle moto per la FIM Enel MotoE World Cup, però non abbiamo una data relativa alla produzione di un veicolo elettrico per la strada perché è molto legato a questo sviluppo della tecnologia e della chimica delle batterie.

Certamente le aziende saranno sempre di più chiamate a uno sforzo nel mondo del rapporto con il cliente attraverso le piattaforme digitali. La domanda che dobbiamo porci è: che cosa posso offrire al cliente, di diverso rispetto ai brand concorrenti, nel momento in cui non usa la moto ed è a casa con il suo smartphone? Ducati già oggi monta di serie ad esempio i sistemi di navigazione che si interfacciano con il prodotto, oppure la possibilità di scegliere i settaggi della moto direttamente dallo smartphone. Ma questo è solo l’inizio, il mondo digitale è in continua evoluzione.

La lotta al cambiamento climatico gioca un ruolo importante quando si parla di futuro. Cosa ne pensa Claudio Domenicali nella figura di abitante di questo pianeta, cittadino comune, genitore? Sei più ottimista o più preoccupato? 

Sono preoccupato ma ottimista. Preoccupato perché la sfida è enorme e da molti ancora a mio parere non compresa. La mobilità personale è una parte risibile del problema, la parte più grande viene svolta dalla generazione dell’energia che tutti usiamo. In questo momento ci sono 200 centrali a carbone in costruzione sul pianeta, non solo non siamo nella direzione di ridurre questo aumento di temperatura ma la stiamo aumentando. Un altro problema enorme è quello dell’agricoltura intensiva, legato alla produzione della carne: quello che mangiamo ha un impatto sulle emissioni di CO2. Noi in azienda abbiamo adottato un progetto europeo di alimentazione sostenibili che si chiama Su-eatable Life, attraverso il quale abbiamo creato un percorso di aumento della consapevolezza dei dipendenti sulla differenza dell’impatto che ha il consumo di diversi alimenti. Sono però anche ottimista perché credo che questa crescente discussione porterà a una capacità di gestire il problema. Credo fondamentalmente nell’unione tra tecnologia e umanesimo. 

Tra le tue cariche figura anche quella di Presidente dell’Associazione Motor Valley Development. Secondo te è sempre importante dare rilevanza al territorio e perché?

Beh in un’epoca come questa, in cui il digitale ha azzerato le distanze e i brand sono sempre di più un’entità apolide, avere delle radici solide e un legame con il territorio è fondamentale. La Motor Valley racchiude nel raggio di 150 chilometri brand unici al mondo per design, tecnologia e prestazioni, conosciuti e apprezzati in tutto il mondo. Un luogo di cui siamo fieri di far parte come Ducati e per il quale sono personalmente orgoglioso di aver ricevuto il mandato come Presidente. Accettare questo ruolo rappresenta un atto di responsabilità e riconoscenza verso un territorio straordinario che mi ha dato tantissimo.

Il legame sul territorio, oltre che con gli altri brand, con i circuiti internazionali e con i collezionisti privati, riguarda anche gli enti di formazione e le Università, e questo è importantissimo per generare valore, cultura e talenti del futuro. È uno scambio continuo tra azienda e territorio: l’azienda prende talenti e restituisce reddito, possibilità di benessere per la comunità.