Cinema, calcio, viaggi e affari di ogni genere. Massimo Ferrero è un imprenditore italiano di quelli di un tempo: venuto dal niente, ha cominciato facendo mille lavori e anche oggi che i soldi non sono più un problema, spazia tra più settori, muovendosi con la grande leggerezza di chi nella vita ne ha fatte tante. Anche se il lavoro a volte lo ha portato lontano dalla Capitale dove è nato, non ha mai perso la sua parlata romana, quasi non se ne fosse mai andato dal suo quartiere, il Testaccio. Durante la nostra intervista canta, cita film e personaggi famosi, traduce qualche modo di dire tipico del Lazio, a volte arrivando fino a spiegare l’intera figura retorica. E alla fine sì, anche se odia ripeterlo e noi non volevamo nemmeno chiederglielo, anche a Genius ha spiegato com’è nato il suo leggendario soprannome, “Er Viperetta”.
Com’è stata la sua infanzia?
Sono sempre stato un bambino creativo, anche un po’ ambizioso. Sono il più piccolo di quattro figli ed ero stanco - anche se lo facevo con grande dignità - di indossare i vestiti dei miei fratelli più grandi. Tra l’altro, per mettermi i pantaloni del maggiore, che è alto quasi 2 metri, dovevo fare tipo 8 risvolti…
Per non pesare sulla mia famiglia, dopo scuola andavo ad aiutare il macellaio, il bar, il benzinaio. Mi sono sempre adattato. Questi lavoretti, oltre a qualche lira, mi permettevano di andare in bicicletta, per fare qualche commissione o consegna a domicilio. Mi piaceva tantissimo la bicicletta, ma la mia famiglia non poteva permettersene una. Così, lavorando, soddisfavo il bisogno di denaro e pure la mia passione per le due ruote. Mi sono sempre inventato la vita con tenacia e tanta fame, la stessa fame che ho ancora oggi.
Il cinema: voleva fare l’attore oppure mirava proprio alla produzione?
Lo dico sempre ai ragazzi: bisogna avere le idee chiare. Se sai chi sei, cosa vuoi e dove vuoi arrivare nella vita sfondi. Lo garantisco. Io da ragazzino, nato nel ’51, ho avuto la fortuna di crescere in un mondo dove cresceva tutto: il mondo e pure l’Italia. C’erano migliaia di occasioni. Io da grande volevo fare il produttore più che l’attore. Ce l’ho fatta come nella canzone di Gianni Morandi, Uno su mille ce la fa. Quindi sì, ho mirato subito alla produzione. E non credete che non mi sia costato fatica! Ho dovuto bussare a tutte le porte: “Buongiorno, sono Massimo Ferrero e vorrei fare un’esperienza di lavoro con lei…”.
E come andava?
Ho preso un sacco di porte in faccia! Ma invece di scoraggiarmi, mi caricavo sempre più. Sono queste le esperienze che ti fortificano.
E poi?
Poi un giorno sono andato sul set di A mezzanotte va la ronda con piacere e lì c’erano la Claudia Cardinale, Monica Vitti, Giancarlo Giannini, Silvio Spaccesi. Spaccesi durante le riprese voleva andare al Teatro Eliseo, così mi sono offerto di accompagnarlo in macchina. A un certo punto l’ho lasciato al teatro e sono tornato indietro, ma una volta rientrato sul set mi sono accorto che era esploso il panico: tutti cercavano Spaccesi. La gente urlava e cercava di capire dove fosse finito perché non si poteva girare senza di lui. Allora capii che era il momento di tentare il colpo grosso: mi finsi il segretario di Spaccesi, e chiesi al direttore di produzione di poter lavorare con loro se gli avessi riportato l’attore misteriosamente svanito nel nulla. Accettò subito!
E com’è finita?
Ripresi Spaccesi al teatro, ma poco dopo finimmo la benzina. Spaccesi si mise dietro a spingere, mentre io guidavo. Meno male che la strada era in discesa perché lui al tempo aveva una gran pancia e non avrebbe retto a lungo credo! Da lì è partito il mio sogno nel mondo del cinema fatto di zero raccomandazioni ma di tenacia, forza, e tanta voglia. Ho fatto tutta la gavetta del cinema, fino al grande salto, quello nel mondo della produzione.
Com’è andata la vita da produttore?
Come un cretino pensavo che sarebbe stato facile fare il produttore. Mi sbagliavo. È un mondo complicatissimo, forse oggi è un po’ più semplice ma comunque parliamo di un lavoro divertente dove bisogna sapersi prendere dei rischi.
Una volta si è messo pure a fare il “pistone”. Ci spiega cosa vuol dire?
Giravano Faccia da schiaffi o Le castagne sono buone, parliamo di 50 anni fa. Ero andato a trovare mia nonna a Campo de’ Fiori a Roma a bordo del mio vespino. A un certo punto mi fermarono in mezzo alla strada perché più avanti stavano girando un film, ma invece di togliermi di torno io mi piantai davanti alla telecamera finché non mi diedero qualche soldo per spostarmi. Da lì poi riuscii a farmi dare una piccola parte come comparsa.
Ma quindi questa cosa del pistone cos’è?
Intanto chiariamo che io il pistone non l’ho mai fatto! Diciamo che è capitata una situazione simile. Però è vero che a Roma c’era della gente, di solito degli uomini ben piazzati, che quando vedevano delle riprese per strada si piazzavano di proposito davanti alle telecamere, impedendo alle troupe di lavorare finché non gli venivano dati dei soldi per spostarsi. Il nome “pistoni” viene dal “pistare” romanesco, che potremmo tradurre così: piantarsi in un punto, molto tenacemente.
A Roma la chiamano “Er Viperetta”, ma in ogni intervista lei dà una versione diversa sulla genesi del nome. Perché?
Perché sono un po’ stanco di questa storia!
Ma non è che siamo solo noi giornalisti a chiamarla così?
No, mi chiamava così un sacco di gente, ma dopo che sono arrivati i giornalisti con questa storia ora mi chiamano tutti così. Una volta al cinema Adriano (di proprietà di Ferrero ndr) mi è capitato che venissero da me delle persone dicendo: “Presidente, lo sa che c’è un Viperetta che dice che questo cinema è suo?!”. C’è un po’ di confusione perché ormai sembra quasi che siamo in tre: Ferrero, Er Viperetta, il Presidente (della Samp). Ma la volete sapere la vera verità su “Er Viperetta”?
Ma certamente!
Vado a lavorare in un film importantissimo, il sogno della mia vita, e controllavo come segretario i chilometri delle macchine. Facevo il mio lavoro, cercavo di essere anche zelante perché ci tenevo tantissimo. Un giorno, il costumista della Vitti (pace all’anima sua!) aveva preso una delle auto ma non me la riportava. Alla fine questa persona, un personaggio allora molto importante, quando gli ho fatto notare che mancava la sua macchina, non l’ha presa bene. Abbiamo bisticciato, e lui davanti a tutti disse: “Sei una vipera!”. In quello stesso periodo c’era in onda una trasmissione sui soprannomi del cinema, parliamo degli anni ’80 e Monica Vitti raccontò questo aneddoto in tv. Da lì è nato tutto.
Com’era il cinema di quegli anni?
Una volta facevi: pronto, motore, azione! E la gente cominciava a tirare le palline di polistirolo agli attori, rovinando la scena. Oppure mettevano la colla sul pavimento dei teatri. Quando arrivava l’attore rimaneva appiccicato e scardinava tutte le assi di legno, ancora attaccate alle sue scarpe. Si moriva dal ridere. Si lavorava 15 ore al giorno sì, ma era un divertimento totale, era una gioia lavorare.
Un personaggio di quegli anni che le è rimasto nel cuore?
Mastroianni. Era un uomo eccezionale, sensibile, sempre al posto suo. Un vero attore. Ovviamente anche Vittorio Gassman. Entrambi giravano al centro di produzione al Safa Pala- tino. Lì c’era una signora, ‘a sora Lella, che aveva un ristorante che faceva delle polpette enormi. Io, con la scusa di andare a trovare Alberto Sordi per cercare lavoro, mi infilavo in questo ristorante perché con quelle polpette giganti ci mangiavo due giorni!
Aveva anche un rapporto molto stretto con Tinto Brass, giusto?
Anche se ci litigavo sempre, con Tinto Brass ci volevamo davvero tanto bene. Lui era un genio, una persona che ha rischiato e sperimentato tanto, sempre premiato dal successo.
Ma quindi, quand’è che la sua carriera ha svoltato?
Dopo tanti film come aiutante in vari settori, è stato Tinto Brass a darmi fiducia e a farmi fare il primo film come organizzatore. Con lui ogni film mi faceva perdere 5-6 chili tra stress, corse e imprevisti.
A proposito di Tinto Brass: la donna più affascinante con cui ha lavorato?
È difficile ma… intendo rispondere! Direi Claudia Cardinale. Certo, se parliamo di una donna che quando entrava in una stanza se ne accorgevano tutti, quella era sicuramente Monica Vitti.
Ci sono ancora dei maestri oggi nel mondo del cinema?
Il cinema che facevo io sicuramente non esiste più. Era fatto di oggetti enormi, pellicole, problemi da risolvere con tanta fantasia. Certo, oggi Paolo Sorrentino porta alto il nome dell’Italia nel mondo. Anche se, non me ne voglia, La Grande Bellezza era già stato fatto 50 anni fa. Si chiama Roma di Fellini. È la stessa storia di Mare Fuori che sta spopolando in streaming: io nel 1986 ho fatto Ragazzi fuori con Marco Risi. Sono temi ciclici. È come nella moda, dove con il tempo che passa tutto si ripete.
Sta lavorando a qualcosa ora?
Sì, sto scrivendo un film in effetti. Vorrei ribaltare un po’ questa moda di raccontare solo criminalità, camorra e bullismo. Che funzionano, ci mancherebbe. Ma vorrei raccontare un’Italia di versa, perbene. Oppure quell’Italia dei giovani, dei bambini, che si mettono in gioco per creare, per studiare, per fare qualcosa di buono per il loro futuro. Vorrei raccontare la genialità del nostro Paese. E sto anche scrivendo un libro.
In passato ha detto che il nostro Paese le sembrava “guasto”, ha cambiato idea?
Sì, basta con queste narrazioni. Ci sono persone che si alzano la mattina per andare a lavorare, dei bambini che vanno a scuola. Io dico: andiamo avanti! Con la positività, con l’amore e con l’arte. Diamo un mondo ai nostri giovani, un mondo in cui credere. Se lo faremo non avremo più il problema dei cervelli in fuga, secondo me.
Che Paese dovremmo raccontare?
Quello della gente che fa, che ce la mette tutta, che si impegna ogni giorno.
Il film della sua vita invece? Qual è?
La cosa che mi rende più orgoglioso che ho fatto è Mery per sempre, o Ragazzi fuori, la cui idea è nata proprio mentre giravamo Mery per sempre. Mi sono rimasti nel cuore.
Quest’anno compirà 72 anni, ma non pensa mai a riposarsi?
Si può dire 72 come 27, decida lei! Se lavori facendo le cose che ti piacciono e crei qualcosa di bello, non ti può mai stufare.
La giornata tipo di Massimo Ferrero com’è?
È complicata, soprattutto in questo momento. La cosa più difficile è recuperare il tempo rubato e cercare di fare qualcosa di positivo. Senza arrendersi mai. Perché la vita è bella e io mi sento di averne più 27 che 72 di anni.
Capitolo Sampdoria: cosa pensa di questa strada, oggi molto difficile, durata 9 anni?
Ho passato 9 anni in Sampdoria. Dicono che me l’hanno regalata per 1€ ma in realtà mi sono accollato tutti i debiti pregressi della società quando l’ho presa in mano. C’erano 99 calciatori a disposizione, un po’ troppi. Io ho preso questa squadra, uscendo da quelli che erano i miei affari tradizionali all’epoca. L’ho fatto con il cuore, senza pensare minimamente che sarebbe diventata una questione così difficile e mediatica per me.
A cosa è dovuta questa mediaticità?
Probabilmente al fatto che allo stadio mi divertivo da morire. La mia parte fanciullesca è esplosa in questi anni. Oggi chi mi ferma per strada, inondandomi di affetto, lo fa perché riconosce il presidente della Samp, non tanto Massimo Ferrero il produttore di film.
Cos’è andato storto allora?
Erano ben due anni che non si riusciva a vendere la squadra. Ma quando sono arrivato in Sampdoria, la famiglia Garrone ha detto chiaramente - in più di un’occasione - che non avrebbe mai fatto fallire la società e che non l’avrebbe mai abbandonata. Oggi che ci sarebbe bisogno di loro invece si sentono “ricattati”. È una scusa becera. Sicuramente non sono io a ricattarli, visto che non ci parlo mai. Oggi si discute tanto di Alessandro Barnaba, e di una possibile composizione, vai tu a sapere cos’è esattamente. Sono operazioni che servono per fami uscire dalla società. Credo che ci siano forti interessi contro di me in questo momento, che hanno causato anche l’acredine nei miei confronti da parte dei tifosi.
Perché dice così?
Perché a forza di scaricare tutte le colpe su di me, sono successe cose incredibili, con minacce, numeri di telefono privati pubblicati online, buste con proiettili, addirittura una testa di maiale recapitata dentro una scatola. Cose dell’altro mondo. Ma sono ben 18 mesi che non mi occupo della Sampdoria.
Lei come si sente in questa fase così delicata?
Ho il cuore infranto. Ripeto: sono 18 mesi che non tocco palla con la Sampdoria. Se Garrone manterrà la promessa e interverrà con un aumento di capitale, io sarò ben felice di farmi da parte.
Non le sembrerebbe un finale un po’ ingiusto, dopo tanti anni buoni come Presidente della Samp?
Io ho dato la vita a questa squadra, e la sto dando ancora. Ho paura che qualcuno voglia far fallire la società. Sarebbe la fine del calcio. Nel frattempo i giocatori sono più spaesati che mai. Hanno bisogno di un papà, di qualcuno che gli dia sicurezza e fiducia in loro stessi e nella squadra. Al momento è tutto sulle spalle di Stanković, ma chi sostiene il tecnico? Così la squadra si sgretola e io non posso fare niente nella posizione in cui sono stato messo. Anche se i tifosi mi danno comunque la colpa di tutto. Nessuno mi permette di dare una mano. Dico solo una cosa: salviamo la Sampdoria.
Cosa ricorda con piacere dei suoi anni in Sampdoria invece?
Quando sono arrivato i campi dei ragazzini erano tutti sintetici. Gli spogliatoi erano tutti trasandati. Mi sono occupato di creare, quasi da zero, una “cittadella” della Sampdoria. Quando è nata “Casa Samp” mi sono messo a piangere di felicità, d’orgoglio, per quello che non era il mio sogno, ma di quei ragazzi under 16 che credono nei colori di questa squadra e lì potranno vivere, studiare, crearsi un’identità. Poi abbiamo creato Next Generation Sampdoria, che oggi conta quasi 40 club affiliati in Italia. Anche la Sampdoria Women è una realtà che abbiamo messo in piedi in appena un mese e mezzo e della quale sono felicissimo.
Ha avuto anche dei problemi giudiziari, cosa può dirci a riguardo?
Sì, è stato un periodo pazzesco. Mi sembrava di stare su Scherzi a Parte, invece era tutto vero. Comunque credo nella giustizia italiana e nei giudici. Da tutto questo male sto cercando di tirare fuori qualcosa di buono.
Lei resta un personaggio molto televisivo, le piace la tv?
Quando faccio le dirette mi diverto, ballo, canto, scherzo. Qualche volta i conduttori hanno un po’ di paura negli occhi perché non riescono a gestire la situazione. Penso che la televisione sia un mezzo per far divertire la gente, per raccontare, per incuriosire chi guarda. Bisogna dare speranza, leggerezza e forza. Quando sono in tv cerco di dare un po’ di gioia e di portare chi guarda verso un mondo migliore.
La sua foto profilo su Whatsapp la ritrae insieme a Fidel Castro, è lui il personaggio che l’ha colpita di più tra tutti gli in contri della sua vita?
Incontrare Fidel Castro è stata un’emozione indescrivibile. Più di recente mi è successa una cosa del genere anche con Papa Francesco, o ripensandoci anche con Papa Wojtyla. Di entrambi i Santi Padri ricordo lo sguardo intelligente, il viso sorridente, che ti dà sicurezza e pace. Un’altra persona che mi ha colpito molto per il suo piglio forte e deciso è Giorgia Meloni, che oggi è premier. Nel corso dei miei 72 anni (o 27 come dicevamo prima!) ho vissuto un numero di governi che nemmeno ricordo, e della Meloni apprezzo moltissimo il piglio energico e combattivo. È un talento naturale. Mi piacerebbe tanto conoscere anche la sua sfidante, Elly Schlein. Sarei curioso di stringerle la mano per sentire la sua energia, la sua voglia di fare.
Con chi si è divertito di più invece?
Tra i personaggi più divertenti che ho incontrato ci sono due “nemici giurati”, almeno politicamente parlando: da una parte Romano Prodi, intelligentissimo e molto brillante, e dall’altra Silvio Berlusconi, che ogni volta che lo incontri ti regala gioia, speranza con la sua forza e la leggerezza con cui affronta la vita. Una persona straordinaria.
Cosa la colpì di Fidel Castro?
Quando ci siamo conosciuti non capivo più niente, balbettavo. Lui mi guardava come per comprendere cosa volessi da lui. Fin da subito è stato un incontro memorabile. Ad esempio quando mi sono presentato come “Massimo” forse lui pensava che mi stessi riferendo a lui, il Líder Máximo. C’è stato un attimo di confusione. E poi non capiva perché continuavo a stringergli la mano, senza lasciare la presa. In effetti stavo cercando di trattenerlo perché non c’erano i fotografi che avevo portato con me. Li avevano fermati all’ingresso della residenza presidenziale. Ma alla fine le foto siamo riusciti a farcele fare. Ci siamo divertiti a Cuba. Ricordo ancora che nel suo palazzo c’era il pavimento di vetro trasparente e sotto di noi vedevamo nuotare gli squali…