I Am Sofia Goggia

Scritto il 14/12/2022
da Paolo Ianieri


È una degli atleti più amati d’Italia. Perché è una che non molla mai, che per ogni volta che cade, sai già che si rialzerà e ripartirà più forte di prima. Perché non ha paura di mostrare le proprie insicurezze, così come di guardarti dritto negli occhi e dirti, senza arroganza o supponenza, ma con quella convinzione propria dei grandi campioni, che è lei la più forte, quella da battere. Perché è simpatica e sa entrare nelle case degli italiani quasi come se fosse una di famiglia, un po’ come era, restando nel suo sport, Alberto Tomba, o guardando a un altro mito nazionale, è stato Valentino Rossi per oltre un ventennio. O Federica Pellegrini. Perché anche nei momenti più difficili riesce sempre a trovare una ragione per sorridere, e quando arriva il momento di festeggiare lo fa con quella carica semplice e genuina che non ha nulla di strafottente. Perché quando la vedi al cancelletto di partenza e vedi la sua carica agonistica, è inevitabile trattenere un po’ il respiro, prima di iniziare una lunga apnea verso la linea del traguardo. Perché è un vulcano esplosivo che ti contagia con le sue parole sempre molto ricercate e mai buttate a caso, segno di grande intelligenza e che ti fanno venire voglia che la chiacchierata, perché con una come lei chiacchieri, non fai interviste, duri il più a lungo possibile. Perché Sofia Goggia, alla quale è dedicata la copertina di questo numero di Genius, è… Sofia Goggia. E da atleti così come lei, è difficile non restare contagiati.

Sofia, è la stagione dei 30 anni, la settima iridata. Nel provare a immaginarti la stagione che inizierà tra poco, se dovessi pensare a un aggettivo relativamente a quelle che sono le tue aspettative e ambizioni, quale sceglieresti?

“Se dovessi sceglierne solo uno… generale. Che è più un sostantivo, perché vorrei provare a vincere la classifica generale di Coppa del Mondo. Ma anche perché vorrei finalmente riuscire a trovare quella continuità e quella costanza che forse mai in tutta la mia vita ho avuto. Perché quando l’acqua passa sulle rocce, la goccia scava lentamente la pietra, mentre io la roccia la scavo come un torrente in piena, capito? Invece quest’anno vorrei provare a fare la goccia. Vorrei tanto che fosse una stagione all’insegna della costanza, a livello mentale, fisica ed emotiva, come mai sono riuscita ad avere. Anche per i tanti infortuni non sono mai riuscita a stare in forma per una stagione intera, ci sono sempre state delle parti discrepanti. Guarda l’ultima, all’inizio sciavo da Dio e poi… quell’infortunio me lo sono trascinato dietro per tutta la seconda parte della stagione, ed è stato pesantissimo”.

Trenta anni sono un’età importante. Come ti vedi?

“Come una persona che ha ancora molto da imparare, non sono ancora completamente l’atleta che vorrei essere, sento di avere ancora tanto da dare, ma anche tanto da prendere. Vivo per la gara che non ho ancora disputato e per la vittoria che non ho ancora ottenuto. Vero che mi avvicino ai trent’anni, ma considerando tutti gli infortuni, tra virgolette, sciisticamente sono ancora molto giovane. So di non essere una veterana, come nemmeno una rookie, ma di essere in un tempo all’insegna della maturità sportiva. Ho molta esperienza in discesa libera, è chiaro che ci sono tante giovani che spingono, però la visione d’insieme che posso avere io è diversa da quella che avevo anni fa. Diciamo che adesso ho tutte le skills, le qualità per fare bene”.

Nel guardarti indietro, qual è stato il giorno in cui hai capito che Sofia, quella ragazzina che amava sciare, sarebbe diventata la Goggia?

“Non c’è stato un momento esatto, ma è sicuramente un sogno che ho coltivato fin da quando ero bambina. Nel provare a risponderti, ricordo un aneddoto del 2013, la mia prima stagione in Coppa del Mondo: un giorno a Hintertux, mentre salivamo con un’ancora avevo detto al mio allenatore: ‘Guarda che io dentro di me potenzialmente sento di essere la discesista più forte al mondo’. Lui lì per lì mi aveva guardato senza dirmi nulla, poi però quando mi sono fatta male e ho attraversato un periodo molto duro, mi ha detto che quella frase era stata una mancanza di umiltà. Invece, io negli anni gli ho dimostrato il contrario. Non era una mancanza di umiltà, ma sentire delle cose, sentire di poter essere qualcuno e di poter fare qualcosa di grande, indipendentemente dal fatto di essere ancora molto lontana dal raggiungere quell’obiettivo. Però dentro di me io sentivo fortissimo questa cosa. E l’ho dimostrato negli anni: quest’anno ho fatto seconda all’Olimpiade su una gamba, ho vinto tre Coppe del Mondo di discesa, ho l’oro all’Olimpiade in Corea davanti alla Vonn. Quando io ripenso a quelle parole, mi dico che se la mia carriera fosse andata male e non avessi ottenuto quello che ho ottenuto, tutti sarebbero stati pronti a puntarmi il dito addosso. Ma io glielo dissi con una convinzione tale che, pur non avendo ancora in testa il percorso che avrei dovuto fare per esprimermi e raggiungere questi traguardi, sapevo che comunque era così”.

È un po’ come i diamanti grezzi, che devi lavorare, intagliare e pulire prima che splendano completamente.

“Però se dici che nascosto in un po’ di terra c’è un diamante, è chiaro che nessuno ti crede e che ti dà della gasata. Però, tornando alla domanda, non penso ci sia stato un giorno preciso in cui ho detto ce la faccio, è stato un lungo percorso”.

Bisogna essere soli per avere successo? Nel senso di dover vivere all’interno di un tunnel nel quale l’unico obiettivo, il focus, è solo su quel traguardo da raggiungere a tutti i costi, tagliando fuori tutto il resto?

“Ognuno ha una propria struttura emotiva. È una domanda importante. Io a volte mi sento pervasa da voragini di solitudine e a volte anche io ho paura. Io la paura la combatto facendomi attraversare completamente, sentendola fino all’ultima goccia, poi quando passa mi rendo conto di essere ancora viva e di andare avanti. Io vivo dei momenti di estrema solitudine, e dentro di me la sento questa voragine”.

Ma questo stato come lo affronti? È un peso troppo grosso o hai imparato a conviverci?

“Eh, ho imparato a conviverci, perché io so di avere un animo un po’ irrequieto, ed è anche grazie a queste mie irrequietudini e voragini che sono poi quella che sono. Ma è chiaro che finché non hai gli strumenti, il manuale di istruzioni, non è facile conviverci”.

Anche perché, comunque, si impara sbagliando, tutti ti possono dire quello che devi fare, ma finché non ci caschi dentro e non lo vivi sulla tua pelle…

“Esatto”.

Qual è stata la cosa più importante alla quale hai rinunciato?

“Svio la domanda, perché penso che non ci sia nulla di grosso a cui ho rinunciato. Tutti mi hanno sempre chiesto dei sacrifici, ma io non ne ho mai parlato in questo termine. Semmai ho parlato di scelte. Ovvero, nel momento in cui scegli qualcosa, lo fai liberamente, con la consapevolezza di includere qualcosa ed escludere altro. Quindi il sacrificio non può essere visto con quell’accezione di sacrificare qualcosa in onore di altro. Anzi, l’etimologia latina è del sacrum facere, ovvero fare con sacralità le cose. Quindi io che ho sempre detto che nella mia vita non avevo mai fatto alcun sacrificio a livello di rinunce, alla fine ho capito che il sacrificio è la mia più grande costante di tutti i giorni. Fare le cose con la sacralità, indipendentemente dal proprio ambito di lavoro, è fondamentale. Non c’è nulla a cui ho rinunciato, quindi, ma semmai cerco di perseguire la mia strada, il mio percorso, con questa accezione del sacrum facere”.

La vita è yin e yang, la luce e l’ombra. Tu vivi alla ricerca spasmodica della velocità esagerata, l’essere la più veloce di tutti è la tua missione, ma al tempo stesso mostri come ti piaccia anche una vita a ritmo lento, le passeggiate infinite con Belle, il tuo cane, l’estraniarti nella natura. Sta qui il segreto?

“In realtà, io penso che la velocità la costruisci anche nella lentezza di determinate situazioni, che però devi anche avere il coraggio di creare nella tua vita. Mi rendo conto di alzare molto l’asticella e di avere sempre questo atteggiamento costruttivo e propositivo, che però a volte rendo quasi ansiogeno. È una sorta di anomia, un’assenza o mancanza di norme, un volere sempre di più. Ma a volte tutto questo è sfiancante, arriva il momento in cui devi sapere dire ok, ti fissi degli obiettivi, ma una volta che li ho raggiunti non è che devo sempre, sempre, sempre vivere con questo principio secondo il quale non c’è un limite, non c’è un tetto, e che ti porta sempre a sparare più in alto”.

Atteggiamento che potrebbe anche portarti a non godere pienamente di quello che stai facendo.

“Esatto. Bisogna saper godere di quello che ottieni. Chiaro, io sono una grande lavoratrice e sopporto dei carichi e mole di lavoro allucinanti, e non parlo solo di volumi in pista o in palestra. È proprio il carico di cose che ho attorno, perché essere quella che sono, significa che più quello che ruota intorno a te è complesso, più tu devi essere bravo a crearti un sistema che vada a semplificare la complessità dell’ambiente esterno. Altrimenti non ne esci vivo. Ma per riuscire a destrutturare l’ambiente che hai attorno ci vuole ingegno, astuzia, arguzia. Ci vogliono strategia e impegno”.

In famiglia hai un riferimento importante in questo senso, con papà ingegnere e pittore, anche in lui si manifestano questi due aspetti per certi versi assai contrapposti.

“Assolutamente, anche in lui c’è questa componente marcata di yin e yang”.

Per come parli e ti racconti, sembra che tu non abbia paura di mostrarti alla gente. È così?

“Non proprio. Solo per il fatto che io mi racconti tanto, non pensare che io dia in pasto me stessa nelle interviste che faccio, mettendomi completamente a nudo. Perché c’è sempre un nucleo esistenziale tutto mio che tengo ben nascosto, del quale sono molto gelosa e che non condivido con nessuno se non con me stessa e, forse, con alcune persone che ho accanto. Ma anche con loro succede raramente. Io a volte provo a mettere a nudo delle parti di me che penso possano omologare tutti noi, ma ci sono cose mie private che non condivido con nessuno”.

Già il raccontare certe cose, spingersi fino a svelare certi aspetti non è da tutti, nel mondo dello sport, almeno per quel che mi riguarda, non è facile trovare un atleta che si apra tanto.

“Lo so, ma alla fine dipende sempre da come vuoi apparire. A me viene naturale parlare di me, per quella che sono, senza veli, a meno che non sia appunto qualcosa di estremamente riservato. Alla fine, però, ognuno è diverso, c’è chi decide di non voler raccontare nulla di se stesso e chi fa l’opposto. Non è qualcosa che ricerco, ma mi viene naturale”.

Barnaba Greppi, il tuo skiman, è una di quelle persone che conoscono la vera Sofia, mi viene da pensare.

“Babi sì, però resta quel nucleo solo mio, che non condivido con nessuno”.

Quanto è importante per uno sciatore il legame con il proprio skiman, in un rapporto in cui immagino bisogna fidarsi e affidarsi?

“È fondamentale. È esattamente come il meccanico per un pilota di moto, visto che tu segui la MotoGP. Tu devi andare su quell’attrezzo e rendere, nel momento in cui metti gli sci sai che sono messi bene e che puoi dare tutto quello che hai”.

Per arrivare alla prestazione migliore, tu devi conoscere bene il tuo corpo ma anche la tua mente. Quale dei due è l’avversario più ostico, quello con cui hai lottato e lotti di più nella tua carriera?

“Io penso che tu possa avere il fisico a posto, ma se la testa è scarica non vai da nessuna parte. Mentre puoi, invece, avere una gamba e andare all’Olimpiade e fare un argento andando anche oltre te stesso, superando i limiti dell’umano e del possibile”.

È l’impresa che ti rende più orgogliosa?

“Mah, guardandomi indietro, quando magari vado un po’ in crisi non riuscendo a fare qualcosa, mi dico, cavolo, sono andata all’Olimpiade, mi sono ripromessa di fare questa cosa e l’ho fatta, di cosa devo aver paura ancora?”.

Che cos’è il dolore per te?

“È un po’ una costante della mia vita, qualcosa che sicuramente fa crescere se vissuto in un certo modo. Ci sono dolori e dolori, ci sono dolori che ti svuotano e altri che ti fanno vivere una tensione e una proposizione verso altri traguardi che ti fanno crescere”.

Dopo l’infortunio di Cortina avvenuto prima dell’Olimpiade, a me era venuto di paragonarti a Marc Marquez, un altro che spesso ha danzato con il rischio, avvicinandosi e spesso anche superando quel confine labile che in certi casi può fare la differenza tra successo e sconfitta.

“Se fossi caduta il giorno prima, quando in discesa libera stavo sciando come una scellerata, sarebbe stato un conto. In quel SuperG, invece, non avevo fatto un errore. È facile puntare il dito e dire, ‘cavolo Sofia, anche te puoi accontentarti di un quarto o quinto posto prima delle Olimpiadi’, però in partenza al cancelletto di partenza nessuno ti dice arriva quinta o sesta. Quell’infortunio è stato pesantissimo, pesantissimo”.

È cambiato qualcosa nella tua testa da quel giorno?

“Io sono questo tipo di atleta. È chiaro che, più che a livello di testa, il mio crociato è malmesso, quindi dovrò fare i conti con questo, sebbene la gamba stia alla grande. Ma quando ti ritrovi a fare certe cose in palestra, o anche solo il fatto di non chinarti più in avanti per raccogliere qualcosa ma accovacciarti per poi saltare su come una molla, arrivi a pensare che c’era un tempo in cui pensavi che non avresti più fatto determinati movimenti. E questo ti regala tanta confidenza. Io sono quel tipo di atleta, e a volte non me ne rendo nemmeno conto, ma vorrei provare a crescere ancor di più, imparando a gestirmi meglio, magari scalando a volte una marcia”.

Non fossi Sofia Goggia, quale sciatrice avresti voluto essere?

“Sofia Goggia (ride; n.d.r.). Ti do una risposta autoreferenziale, perché non saprei chi avrei voluto essere altrimenti”.

Torniamo all’inizio dell’intervista, a quel… generale. A cosa rinunceresti per la Coppa del Mondo generale?

Lungo silenzio. “A dirti la verità, a qualunque cosa mi dicessero di rinunciare per la Generale lo farei e stop. Tranne che a me stessa e alle cose per le quali ho aspramente lottato nella mia vita e che ho conquistato con sudore e fatica. E non parlo di cose materiali, ma di parti di me stessa. È una domanda che mi fa pensare molto, questa, perché nel rinunciare a qualcosa non bisogna mai dimenticarsi di sé, a quei pezzi del proprio cuore che a volte ho tralasciato, ma che sono fondamentali per vivere in sintonia con se stessi, perché è grazie a quello che si raggiungono dei grandi traguardi, anche se il successo è abnegazione di sé. Prima abbiamo parlato di yin e yang, c’è un detto che dice che devi stare a cavallo della tigre, di quella che abita dentro di te. Ma riuscirci non è per niente facile, anzi”.

 

Ti concedono una magia, puoi tornare indietro nel tempo e cambiare un giorno della tua vita. Quale sarebbe?

 

“Probabilmente nel recente passato cambierei quel SuperG a Cortina, anzi no, Altenmarkt (il 15 gennaio, cadde a metà gara finendo nelle reti mentre era al comando; n.d.r.)”.

E se non avessi sciato, chi saresti, cosa faresti oggi?

“Guarda, io ho sempre detto che se il mio maestro di tennis fosse stato più convincente del mio maestro di sci, a quest’ora avrei giocato a tennis”.

Eri altrettanto brava?

“Non è che ero tanto brava, ma ho sempre avuto questo carattere che, anche nel nuoto, per esempio, mi ha portato a distinguermi. Avevo questa fame, il voler dimostrare, il sentirmi brava in qualcosa. Dentro di me c’è sempre stata questa molla pazzesca”.

Ami molto leggere libri di storia.

“È una materia che mi piace molto, adesso dovrei dare degli esami (è iscritta a Scienze Politiche; n.d.r.)”.

È dura per un’atleta come te conciliare sport e studio?

“Non è semplice, poi dipende sempre dall’esame in sé e dai contenuti. Sta di fatto, però, che a giugno per finire la sessione sono impazzita, ero allo Stelvio per allenarmi, mi alzavo alle 4 e mezzo e andavo a letto a mezzanotte per studiare. Però ho fatto tre esami, e via. Non è affatto semplice, però è una distrazione sana. E poi leggere è bello”.

Oltre ai libri c’è anche la passione per il pianoforte.

“Anche quello mi piace molto, quando posso suono. Sto imparando Ludovico Einaudi perché le scale che fa non sono così complesse, per certi aspetti è abbastanza intuibile. Suonare mi rilassa molto la testa, cerco di leggere e muovere le mani a ritmo, pigiando i tasti giusti”.

Il viaggio che vorresti fare?

“La Mongolia”

E quando smetterai di gareggiare cosa vedi nel tuo futuro? 

“Work in progress. Non si sa. Ma siccome sono una molto ambiziosa, sarà sicuramente qualcosa di interessante. Di opportunità so già che se ne creeranno tante, l’importante però sarà riuscire a muoversi bene in ambienti diversi, perché lo sappiamo tutti che le conoscenze sono importanti”.

È facile essere amico/amica di Sofia Goggia?

“No. Però è molto facile essere mio conoscente”.

Ed essere così amata dalla gente?

“Io adoro questa cosa. Perché quando vedo i fan che mi vogliono bene, quando sento il loro supporto d’amore, mi carico tantissimo”.

Cortina 2026 è…?

“È la mia Olimpiade”.

Quindi Sofia ci sarà.

“E per dirti quanto, ti racconto un aneddoto di quella cinese: dopo l’infortunio a Cortina, sento una di Armani per le tute e le dico che sarei andata in Cina. ‘Vai a fare un po’ di rappresentanza per il Coni?’ mi dice. E io ‘macché rappresentanza, vado giù e vinco l’oro!’. Questo è per farti capire chi sono io”. Una da… Generale, appunto!